Luigi Cremona, giornalista gastronomico

Conosce personalmente tutti i più grandi chef e i migliori ristoranti. Anzi ad assegnare ai locali le stellette che ne indicano la qualità è proprio lui. Luigi Cremona, ingegnere convertito alla tavola per gusto, amante dei piatti di qualità in qualunque forma (raffinata o casereccia), è uno dei critici enogastronomici più autorevoli e amati d’Italia. 

Maestro assaggiatore formaggi dell’Onaf (Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggio), sommelier Ais (Associazione Italiana Sommeliers), giornalista culinario che ha scritto su tutte le principali riviste di settore (da Gran Gourmet, Madia Travelfood a Gente Viaggi e Dove, per citarne alcune), esperto in svariate trasmissioni Tv (da Gambero Rosso Channel alla Prova del Cuoco), ha un curriculum sterminato. Dal 1995 è consulente per la ristorazione e l’informazione alberghiera del Touring Club Italia e per questo editore ha scritto guide di cucina tra cui quella di Alberghi e Ristoranti e, dal 2006, insieme a Marco Busso, quella ai Vini buoni d’Italia. Premio «Penna d’oro» nel 1997 e «Oscar del vino» nel 2007 come miglior giornalista enogastronomico, è uno dei pochi esperti di cucina che, avendo girato il mondo, può paragonare per esperienza diretta le diverse tavole del globo.


Luigi, lei è stato ovunque nel mondo e ha provato i sapori dei paesi più diversi, dall’Alaska, alla Corea, dalla Terra del Fuoco, al deserto del Kalahari in Botswana. Alla fine, qual è la cucina migliore?

Quella che spero di trovare in futuro, domani magari. Sono uno che guarda avanti e ha voglia di stupirsi. La cucina, che è un mix di ingredienti, fantasia e passione, riserva sempre sorprese. Guardando al passato, invece, è vero che ho assaporato i gusti più diversi. Ma è difficile esprimere un giudizio: ha poco senso paragonare piatti cinesi con quelli giapponesi, messicani, creoli o italiani. La cucina riflette il patrimonio di tradizione, storia e prodotti del territorio. Le migliori sono quelle che possono attingere al patrimonio più ricco di questi tre elementi. Perciò India, Europa, Cina che hanno cultura e storia millenarie e dispongono dei più vari prodotti della terra, sanno lavorarli e trasformarli, hanno cucine più ricche. Mentre l’Africa, più povera e meno sviluppata, ha piatti meno interessanti.


Limitandoci all’Italia, secondo lei qual è il miglior ristorante?

Ce ne sono tanti. Con stili molto diversi. Dipende da ciò che una persona cerca. Ad esempio, parlando di Milano, andare da Cracco Peck vuol dire non solo puntare a una cucina di alta qualità, ma anche a un ambiente sofisticato, ufficiale, impegnativo, vuol dire che anche la preparazione prima di uscire è importante, ci si veste bene, si va dal parrucchiere e ovviamente si è disposti a spendere un bel po’. Invece chi ha mezz’ora libera o si vuole rilassare o vuole godersi una cena col fidanzato magari sceglie l’Erba brusca, che è pur sempre buono ma più economico, meno istituzionale e più intimo.


Lei di solito dove preferisce andare?

Amo i locali dove in cucina ci sono i cuohi, i veri chef. Sto parlando senza dubbio di tutti i ristoranti che hanno almeno due, tre stelle Michelin, ma anche dei posti più semplici, sperduti e radicati sul territorio che imprimono nella cucina la loro passione, storia e cultura. Anche qui si trovano grandi chef.


Ma quando entra in un locale che cosa la colpisce: solo il cibo o anche servizio, ambiente, stile della tavola?

Sono un appassionato di cucina, dunque il cibo per me è predominante, ma certo tutto ha valore. Ad esempio dal mio punto di vista non è tanto importante l’arredo, quanto le luci: sono convinto che mangiare in un ambiente buio, o al contrario troppo luminoso, possa infastidire più di trovare una tavola poco bella.

 

Molte persone scelgono il ristorante non tanto per la qualità, quanto per il design del locale.

Fanno benissimo. Ho capito che la gente è poco preparata a tavola, più che dalla qualità, è condizionata dal prezzo, dall’ambiente, dallo spazio aperto in estate. Dunque è giusto che la scelga il locale che piace perché ad esempio ha tavoloni di legno massiccio, pareti con mattoni a vista o piatti blu.

 

Ma lei quando va in un ristorante si presenta?

Prenoto sempre e non lo faccio mai sotto falso nome. Spesso mi riconoscono e stanno più attenti. Però la cucina è una cosa complicata, ciascun ingrediente è essenziale, anche olio e sale, la preparazione non si improvvisa. È difficile che il cuoco sommario, si trasformi in chef.

 

Si parla tanto di turismo enogastronomico: esiste davvero, sta crescendo?

Faccio questo mestiere da oltre trant’anni e assicuro che vent’anni fa sul turismo enogastronomico non puntava quasi nessuno. Ora in Italia forse è la seconda attrazione dopo l’arte.

 

Quali nuove tendenze vede emergere?

Le botteghe con cucina: locali raffinati ma informali che fanno sentire le persone a proprio agio, dove si assaggia un prodotto di qualità, piace e lo si compra, dove in sostanza si può anche fare la spesa. Non è detto che siano economici. Eataly in grande ne è un esempio di successo.

 

Cosa pensa della moda che si sta diffondendo del waste food, la cucina degli avanzi?

Fa parte della storia delle famiglie italiane, è sempre esistita e sempre esisterà. Ma è difficile che arrivi nella ristorazione perché ci sono regole di igiene molto rigide, inconciliabili con il waste food.

 

In Tv stanno spopolando programmi di cucina. Solo per citarne alcuni: Cuochi e fiamme di Simone Rugiati, Cucina con Ale di Alessandro Borghese, I menu di Benedetta con la Parodi, Masterchef anche con Carlo Cracco e Gordon Ramsay che fa anche Hell’s Kitchen. Quanto bene o male fanno alla gastronomia di qualità?

So che esistono ma non li conosco perché non li vedo. Pensi che non mi vedevo neanche io quando partecipavo alla Prova del cuoco. Non solo perché ero in diretta, ma perché queste trasmissioni non mi appassionano.

 

E voi, mangiate spesso in ristorante o preferite le cene intime in casa?

 

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